TEATRO E MARGINALITA’ di Laura Sicignano
Intervento di Laura Sicignano in occasione della tavola rotonda del 10 ottobre 2024 A SCUOLA CON IL TEATRO
L’Italia è una società plurale: la componente straniera o di origine straniera ha ormai superato il 12% del totale. Sul fronte scolastico, il numero degli alunni con background migratorio nelle scuole italiane cresce a un ritmo che lascia presumere che, in circa 10 anni, si potrà arrivare al traguardo di un milione di alunni con background migratorio (nell’a.s. 2021/22 il numero si attesta a 872.360 presenze) (fonte: XXIX Rapporto sulle migrazioni 2023, elaborato da Fondazione ISMU ETS / Iniziative e Studi sulla Multietnicità).
Includere e dare voce a persone con background culturali complessi rivela la capacità di un paese di accogliere le minoranze. L’inclusione riuscita contribuisce alla crescita economica e alla coesione sociale, mentre la mancata inclusione genera precarietà e marginalità.
Un teatro che è in grado di dare voce e rappresentare anche le minoranze è un teatro inclusivo. Rendere visibili e dare voce a minoranze in espansione, significa anche includere nuovo pubblico a teatro.Nel mio trentennale percorso professionale, attraverso esperienze artistiche e manageriali, di direzione di teatri privati e pubblici, ho cercato con progetti a volte pionieristici di portare al centro le marginalità sociali attraverso diverse pratiche di teatro, in particolare modo coinvolgendo adolescenti in laboratori e spettacoli, dove il percorso creativo avesse centralità e il risultato spettacolare mirasse ad un’alta qualità artistica, grazie al coinvolgimento di professionisti in ruoli di coordinamento generale.
Nello specifico le esperienze di maggiore rilevanza da me affrontate sono state: a Genova con il Teatro Cargo un lungo e complesso progetto pluriennale dal titolo Dei viaggiatori con un gruppo di minori stranieri non accompagnati (2011/2017); sempre a Genova e con il Cargo, il laboratorio con un gruppo di adolescenti NEET (Not [engaged] in Education, Employment or Training: lett. “Non [attivo] in istruzione, in lavoro o in formazione”) (2017); il coinvolgimento di alcune classi di scuole superiori della periferia di Catania nelle fasi creative di uno spettacolo professionale, Antigone di Sofocle (2019) con il Teatro Stabile di Catania.
Questi percorsi molto diversi tra loro per tempi, modi, obiettivi, hanno avuto in comune l’esigenza di dare ai giovani coinvolti voce e rappresentazione pubblica. In un contesto sociale come il nostro, dove le marginalità vengono ghettizzate e trattate come problemi e il disagio diventa una colpa da punire con misure repressive, con risultati disastrosi per l’intera società, queste esperienze teatrali ed esistenziali hanno dimostrato come il teatro possa essere un dispositivo efficace di benessere psicofisico e di consapevolezza di sé e del mondo, e una pratica positiva e trasformativa del proprio percorso personale.
In ogni caso si è lavorato per mettere al centro i ragazzi, il loro mondo, i loro desideri, progetti, vissuto.
Voglio qui raccontare più specificamente il progetto Dei viaggiatori con un gruppo di minori stranieri non accompagnati, perché particolarmente originale negli anni in cui si è svolto (successivamente in Italia progetti simili si sono visti in molte città italiane) e significativo per l’oggetto del nostro incontro di oggi, ovvero la necessità di prevedere il teatro come materia lungo tutto il percorso scolastico.
Chi mi ha preceduto ha ben illustrato quanto il teatro possa giocare un ruolo importante nella formazione della prima infanzia, in termini di capacità relazionali, gestione delle emozioni, consapevolezza, lavoro in gruppo, sviluppo dei personali talenti, rispetto delle differenze. Questi risultati si possono ottenere attraverso pratiche teatrali anche negli anni dell’adolescenza, in cui le emozioni sono più intense e difficilmente controllabili e la ricerca della propria individualità in contrasto al contesto sociale può portare a derive estreme se non adeguatamente accompagnata da scuola e famiglia. Il teatro negli anni dell’adolescenza può dimostrarsi una pratica importante per accompagnare i ragazzi, specialmente quelli in condizioni di disagio sociale, in un percorso di crescita armonioso e costruttivo.
Con il Teatro Cargo, ho iniziato nel 2011 a lavorare con un gruppo di ragazzi arrivati da soli da Paesi lontani, non solo nello spazio, ma anche nella mentalità. Erano sbarcati in Italia dopo viaggi difficili, quelli dei barconi, quando ancora “l’Emergenza invasione” non esisteva e la mia socia Valentina Traverso, allora avvocata penalista specializzata in stranieri, faticava a spiegarmi. A me, nutrita solo di cultura europea, non interessava, non mi sentivo in grado di parlare se non di Europa.
I ragazzi erano ospitati a Genova in due comunità d’accoglienza per minori non accompagnati e richiedenti asilo. Valentina mi ci portò. La prima volta che sono entrata lì – è un bell’edificio abbastanza centrale, con un piccolo giardino e vista sulla città – ho avuto la sensazione di un universo concentrazionario dove erano rinchiuse energie giovani e esplosive, abituate alla libertà e alla violenza.
Nella sala dove erano state riunite queste bombe (non solo) ormonali, mi fissavano occhi di tutto il mondo, indifferenti, indecifrabili, disperati, ottusi, furbi, curiosi, feriti: ecco i ragazzi di vita di Pasolini in versione anni Duemila. Mi apparve chiaro che quello sarebbe stato il futuro dell’Europa. Ecco le storie che avrei voluto raccontare ora: i viaggi intercontinentali di questi “barbari” semianalfabeti, forti della forza di chi è sopravvissuto, saggi della saggezza di chi ha visto troppe cose.
Organizzammo un laboratorio teatrale dedicato a loro, che avevano troppo tempo libero per non combinare guai. Vennero le “mele marce” e i “ritardati”: così mi furono descritti da alcuni operatori della comunità. Per fortuna chiesi aiuto a Sara Cianfriglia, un’attrice genovese, senza la cui grinta, allegria, creatività non sarei riuscita ad arrivare in fondo per dimostrare ancora una volta che citando Fabrizio De André dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior.
Questi ragazzi nel teatro hanno avuto un incontro importante e il teatro ha avuto un incontro importante grazie a loro.Il primo dialogo non è stato facile: è stato un conflitto tra culture, generi e generazioni. Loro non sapevano cosa fosse il teatro e soprattutto chiedevano a cosa servisse.
L’impatto è stato subito delimitare un confine tra “noi” e “loro”: noi europei (anzi, europee al Cargo) e loro, stranieri, loro maschi e noi femmine, noi adulti e loro ragazzi. Ragazzi diffidenti e molto arrabbiati con la vita, abituati ad essere imbrogliati, abbandonati, feriti. Ci siamo studiati con curiosità e diffidenza per mesi.
Lo spettacolo Odissea dei ragazzi è nato su queste basi, ma è cresciuto poi sulla fiducia, la simpatia, la gioia di avere trovato un linguaggio comune, in mezzo alla selva di sei lingue e culture diverse: Afganistan, Pakistan, India, Nigeria e Senegal.Con la coscienza di una forte diversità, ma con l’intenzione di dare vita a un dialogo umano e costruttivo, si sono sperimentati nuovi linguaggi e nuovi codici di comunicazione. Dalla rabbia è scaturita una grande energia. Dallo scontro, la potenza dello spettacolo.
Alcuni ragazzi hanno mostrato il proprio lato fragile, con grande coraggio. I timidi hannoiniziato a comunicare gioie e dolori. Le “mele marce” a mostrare rispetto. I ragazzi a teatro hanno trovato il loro primo contratto di lavoro in Italia. Odissea dei ragazzi è la storia di Omero rivissuta sulla pelle di questi Ulisse contemporanei. La loro sofferenza, i loro viaggi indescrivibili sono la loro forza, nella vita e in scena. Dopo un lungo percorso di laboratorio dove abbiamo lavorato con il corpo, la voce e le emozioni, contro i pregiudizi reciproci, è andata in scena la loro Odissea.E’ nato uno spettacolo di forte impatto emotivo, parlato in sei lingue, con un travolgente rap, con azioni comprensibili a tutti e una colonna sonora kitsch come i gusti musicali di questi millennials globali.
Odissea ha fatto un’indimenticabile tournée da Lecce, via Roma, Prato, Torino, Milano e non mi ricordo più quanti altri posti – fino a Lugano, tutti e nove su un pulmino che ha raggiunto il record di fermate da parte di Polizia, CC e Guardia di Finanza. Abbiamo litigato ininterrottamente, italiane contro resto del mondo, Indiani contro Pakistani, Afghani contro Nigeriani, l’unico Nigeriano contro tutti.
Abbiamo fatto impazzire i camerieri tra vegetariani, musulmani, intolleranti e semplici rompiscatole.
Abbiamo rischiato di farci bloccare alla frontiera svizzera perché qualcuno non aveva documenti, ma lo spettacolo a Lugano lo volevamo fare a tutti i costi.
A Satriano di Lucania abbiamo fatto lo spettacolo e poi ci siamo memorabilmente abbuffati cristiani e musulmani, insieme a tutti gli abitanti del paese che ballavano la tarantella.
Nelle foto molti lucani sembrano i fratelli a Ramatoullah (Afghanistan).Dall’incontro con i ragazzi di Odissea, “noi” abbiamo cambiato molte cose. Anche “loro” sono cambiati, ognuno a modo suo. Il teatro non sarà il loro lavoro per tutta la vita.Peccato perché qualcuno sarebbe talentuoso, qualcun altro avrebbe predisposizione per fare il tecnico, ma il teatro è un lavoro di lusso che i poveri non si possono permettere.I ragazzi di Odissea forse partiranno per altri paesi (l’Italia sta loro stretta), ma per un bellissimo momento ci siamo guardati negli occhi, ci siamo parlati e capiti, grazie al Teatro.
Dopo questo spettacolo ne sono seguiti altri tre, ciascuno dedicato ad un ragazzo particolarmente desideroso di raccontare se stesso e il proprio rapporto con l’Europa. Anche questi lavori hanno avuto belle e intense tournée, premi e riconoscimenti continui che hanno gratificato tutti di un percorso faticoso e difficile, il teatro, capace di far crescere chiunque lo affronti con umiltà e passione, nel rispetto dell’altro e nel pensiero critico sul mondo.
Maggiori informazioni, video, foto e rassegna stampa degli spettacoli del progetto si trovano sul mio sito www.laurasicignano.it e nel volume TEATRO CARGO di Laura Sicignano Ed. Sagep, 2018.