I diritti e i doveri culturali – al pari dei diritti e dei doveri politici, economici e sociali – appartengono alla famiglia dei diritti umani
– Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 1948, art.22 – ma non sono stati recepiti come una autonoma categoria giuridica all’interno delle Carte Costituzionali e del sistema normativo della maggioranza dei paesi europei, né di conseguenza sono percepiti dalla cittadinanza e dai decision maker come oggetto di rispetto e di tutela al pari degli altri diritti umani.
L’ipotesi è che una maggiore coscienza e rispetto nei confronti dei diritti culturali da parte della collettività nazionale nelle sue componenti più varie- istituzioni, imprese, società civile – possa portare alla costruzione di un modello di società in grado di affrontare le complessità determinate dalla dimensione globale. E possa fornire una griglia interpretativa in grado di rispondere alle criticità del presente rappresentate da una crisi della democrazia rappresentativa, un forte squilibrio sociale, una mancanza di cultura partecipata e dalla mancanza di una classe politica preparata e competente.
I diritti e i doveri culturali rappresentano il quadro di riferimento giuridico e normativo all’interno del quale la complessità del presente può agire senza generare processi distruttivi contro l’individuo e contro la società. Al contrario, i diritti culturali offrono le condizioni necessarie al fine di soddisfare esigenze di conoscenza, cooperazione, solidarietà individuale, collettiva e sviluppo economico.
La base di partenza sulla quale si sviluppa il concetto di diritti culturali è rappresentata dalla Dichiarazione di Friburgo, 2007 così denominata per essere stata realizzata da un gruppo di studiosi organizzato e coordinato dall’Istituto interdisciplinare di etica e dei diritti dell’uomo dell’università svizzera.
Il testo, dal titolo I diritti culturali, raccoglie ed esplicita diritti già riconosciuti e disseminati in numerosi documenti relativi ai diritti umani. L’averli riuniti in un unico documento è stato considerato necessario dagli studiosi per garantirne la visibilità e la coerenza, al fine di favorirne l’effettività e chiederne in modo più incisivo il rispetto all’interno dei singoli Stati.
Il documento fonda le proprie radici nella Dichiarazione universale dei diritti umani (Onu, 1948), nella Dichiarazione universale sulla diversità culturale (Unesco, 2001) e nella Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali (Unesco, 2005) e può diventare un modello di riferimento per la costruzione di politiche pubbliche integrate che considerino i processi culturali strumenti di senso e occasioni di possibilità per lo sviluppo dei singoli individui e delle comunità. Lo ha riconosciuto la Dichiarazione di Faro del 2005, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e ratificata dall’Italia nel settembre 2020.